F1 Adelaide 1991: non servivano Virtual Safety Car o simili per obbligare i piloti a rispettare le bandiere gialle

Domenica 3 novembre 1991, Gran Premio d’Australia ad Adelaide, ultimo appuntamento del 42° Campionato del Mondo di Formula 1. Solo 14 giri percorsi sotto ad una pioggia fittissima. Eppure, nonostante le condizioni proibitive, tutti, piloti e commissari di pista, sono tornati a casa sani e salvi. Rivendendo queste immagini, in molti oggi urlerebbero al miracolo, ma non è così. Semplicemente nessuno si è fatto male perché i piloti avevano avuto coscienza (e non paura) di ciò a cui stavano andando incontro.
GP Giappone 2014: la morte di Bianchi in circostanze analoghe
Come detto e ripetuto fino alla nausea, il drammatico incidente di Jules Bianchi, costato la vita al pilota francese, è la normale conseguenza di un’educazione sbagliata impartita da oltre 15 anni dalla direzione di corsa: si è sempre chiuso un occhio di fronte a situazioni di pericolose provocate da piloti poco rispettosi delle bandiere gialle (su tutte il GP del Brasile 2003) che indicano, appunto, una situazione di pericolo in pista. Se c’era da punire un pilota per una toccata ad un avversario il giudizio di Whiting e la conseguente punizione non si faceva attendere; se c’era invece da punire un pilota per aver messo in pericolo colleghi e commissari Whiting ha sempre teso la mano anziché condannare (vedere, ad esempio, il podio confermato ad Alonso nel sopracitato GP del Brasile 2003). Un’educazione sbagliata che ha portato i piloti a fregarsene delle bandiere gialle sventolate durante il GP del Giappone 2014; tra tutti a farne le spese è stato Jules Bianchi, ma, giusto precisare, come a lui, quell’incidente sarebbe potuto capitare a chiunque altro perché, purtroppo, ormai da anni i piloti erano stati abituati a tenere questo scorretto comportamento.
GP Australia 1991 – Senna, una lezione di vita oltre che di guida
Di Ayrton Senna tutti lodano la grande capacità di guida sul bagnato. Sono numerose le sue vittorie, o quasi vittorie come quella di Montecarlo 1984, sotto l’acqua. Oltre alla sua velocità, andrebbe, però, ammirata anche la sua testa e la sua lucidità nella guida in condizioni estreme.
Durante il Gran Premio d’Australia 1991, diversi piloti persero il controllo della propria monoposto sul rettilineo principale; riguardando la gara dell’epoca, è evidente che Senna alzò il piede in rettilineo una volta accortosi delle macchine incidentale a bordo pista e delle bandiere gialle sventolanti, pur concedendo la possibilità a Mansell di ricucire tutto lo strappo. Senna, dunque, preferì far prevalere l’aspetto umano (la sicurezza di commissari e piloti incidentali) che quello sportivo (la possibilità di prendere ulteriore distacco su Mansell). Quali altri piloti, oggi, sarebbero disposti a fare altrettanto? Nessuno.
Consci di questi episodi, la direzione gara dovrebbe fare mea culpa, capendo che non è possibile snaturare l’aspetto sportivo della F1, con stratagemmi artificiali come la Virtual Safety Car. La sicurezza a tutti a costi non la si trova in questo modo, se non falsando lo spettacolo. Questa la si è già stata trovata grazie ai crash test sulle monoposto, ma non solo. Il Gran Premio di Australia 1991 e quello del Giappone 2014, e il differente approccio al pericolo avuto da Senna e Bianchi nella medesima circostanza, insegnano che è anche una questione di educazione e di rispetto delle regole.
Infatti, come hai giustamente sottolineato, si tratta di “Virtual Safety Car”, mentre Senna, Mansell e compagnia erano in modalità “Real Safety Drive”. Curioso che la F1, con tutti i suoi interessi annessi e connessi, non sappia imparare da se stessa. Show must go on, Mr. Ecclestone ?