Storia F1 GP USA – Il circuito di Austin ospiterà la 18° prova del Mondiale 2016 e noi ripercorreremo la storia della gara statunitense
Gli Stati Uniti d’America, si sa, sono un Paese innamorato del Motorsport. Le categorie principali, sia la Nascar che la IndyCar, sono seguite da milioni di appassionati. Eventi come la 500 Miglia d’Indianapolis o la Daytona 500 sono in grado di fermare una nazione, oltre che essere leggende dell’automobilismo globale. Senza calcolare la miriade di altre competizioni su quattro ruote che costellano gli States, a conferma del rapporto simbiotico esistente tra questo popolo e quest’ambito dello sport. Con la F1, però, non è andata così. Più volte, da quando esiste il Mondiale, il Circus ha cercato di sfondare nel cuore degli appassionati a stelle e strisce, con risultati alterni e, per lo più, scadenti. Dopo aver toccato il fondo con la vergogna del GP d’Indianapolis del 2005, in questi ultimi anni il vento sembra essere cambiato. Non solo è stato costruito il primo circuito di sempre negli States, ad Austin, specificamente dedicato alla F1; il 2016 ha visto l’esordio di una scuderia statunitense, il team Haas, con cuore italiano (telaio Dallara e PU Ferrari) ma sicuramente made in USA, con sede a Kannapolis, North Carolina. Nel GP di Singapore 2015, Alexander Rossi ha riportato la bandiera statunitense in griglia 8 anni dopo Scott Speed. Ancor di più gli States potranno avvicinarsi alla categoria, dopo la recente vendita della F1 agli americani di Liberty Group, i quali hanno già annunciato di voler fare di tutto per favorirne la diffusione negli States.
Gli inizi – La storia dei gran premi, negli States, si perde nella notte dei tempi del motorsport. Siamo agli inizi del ‘900 e William Kissam Vanderbilt, manager in campo ferroviario e allevatore di cavalli, si diletta con le prime corse in auto, prendendo parte anche ad eventi in Europa. Proprio qui, il 50enne Williams rimane affascinato da competizioni come la Gordon Bennett Cup (competizione con viaggio da Parigi a Lione, in Francia) e la Circuits des Ardennes (a Bastogne, Belgio). Prende così la decisione di diffondere questo intrattenimento anche dalle sue parti. Nasce la Vanderbilt Cup, organizzata per la prima volta nel 1904 lungo le strade di Long Island, New York. Le difficoltà di contenere l’entusiasmo della folla, con conseguente carico di morti e feriti, portano ad una prima sospensione dell’evento nel 1907; con fortune alterne, il trofeo verrà messo in palio fino al 1968, figurando, nel suo albo d’oro, nomi del calibro di Tazio Nuvolari e Bernd Rosemeyer, vittoriosi nel biennio 1936-37. Intanto, si crea una spaccatura nel neonato mondo motoristico statunitense: da una parte, abbiamo l’American Automobile Association, che non accetta le regole internazionali, virando subito verso le stock cars; dall’altra, invece, c’è l’Automobile Club d’America, animato da personalità molto legate al Vecchio Continente, che accetta le regole stilate dall’Association Internationale des Automobiles Clubs Reconnus e va ad organizzare il primo gran premio il 26 Novembre 1908 (Thanksgiving Day), a Savannah (Georgia), su un cittadino di circa 40 chilometri, con vittoria del francese Louis Wagner su Fiat; 3° l’italiano Felice Nazzaro, sempre su vettura torinese. La Fiat s’impone anche nel biennio 1911-12 ma, nonostante il grande successo di pubblico, non sono tutte rose e fiori. Mentre l’organizzazione tocca anche le strade pubbliche di Milwaukee (Wisconsin), Santa Monica e San Francisco (entrambe in California), monta la protesta contro queste manifestazioni: buona parte dell’opinione pubblica avversa sia la chiusura delle strade in occasione delle gare, che l’uso di detenuti e soldati per organizzarle; in più, i frequenti incidenti mortali non fanno che aggravare la situazione. L’edizione del 1916 è l’ultima della fase pionieristica. Ormai ha preso piede la 500 Miglia d’Indianapolis e, per un Gran Premio degli Stati Uniti vero e proprio bisognerà aspettare la fine degli anni ’50.
Il fallimento dell’operazione Indy – Agli albori del Mondiale di F1, sulla scorta del successo raccolto dalla famosa gara del catino di Indianapolis tra i costruttori europei, in particolare negli anni ’30 (Maserati a segno nel 1939-40), si decide di creare una connessione tra i due mondi, inserendo la 500 Miglia d’Indianapolis nel calendario iridato. Ciò avviene dal 1950 al 1960 ma, a conti fatti, l’esperimento si risolve in un flop clamoroso. I piloti europei disertano in massa l’evento, tra l’altro spesso coincidente con il GP di Monaco; a loro volta, i piloti americani non attraversano praticamente mai l’Atlantico. L’unico serio tentativo è della Ferrari che, nell’edizione 1952, decide di provare quest’avventura, iscrivendo una 375 F1 opportunamente modificata, con il grande Alberto Ascari al volante e affidata al team NART; altre tre vengono approntate per scuderie locali. Il pilota milanese sbarca con anticipo negli States, intento a prendere confidenza con l’Ovale. Ma sin dalle qualifiche si palesa la difficoltà dell’impresa: benchè più rozze, le vetture americane si dimostrano perfettamente a loro agio; tutt’altro discorso per le 375 F1, al punto che il solo Ascari, grazie alla sua classe, riesce a qualificarsi (19°). Dopo aver guadagnato alcune posizioni, Ascari è costretto al ritiro al giro 40 dal cedimento del mozzo di una ruota. Vista la situazione, prende corpo l’idea di un GP a parte, che si concretizzerà nel 1959.
F1 500 Miglia Indianapolis 1952: il ritiro di Ascari
Da Sebring a Watkins Glen, passando per Riverside – Il 12 Dicembre 1959 si disputa, per la prima volta con valenza iridata, il Gran Premio, sul circuito di Sebring (Florida), dopo che, un anno prima era stato il nuovo circuito di Riverside (California) a fregiarsi per la prima volta della denominazione “United States Grand Prix”, con la disputa di una gara extra campionato, vinta dal pilota locale Chuck Daigh (Scarab-Chevrolet). L’evento, che si svolge sul circuito (la configurazione di allora misurava 8.368 m) che ospita la famosa 12 Ore, è l’ultima prova del campionato, con “Black Jack” Brabham che comanda con 5.5 punti di vantaggio sul team mate Stirling Moss (31 a 25.5), con il ferrarista Tony Brooks a seguire con poche speranze (23). Un’altra particolarità, oggi impossibile, caratterizza questa gara: tra i partecipanti, figura anche Rodger Ward, che guiderà una Kurtis Kraft, modello Midget-Offenhauser, con la quale ha appena vinto lo USAC National Champion. Si tratta di una sfida nei confronti delle monoposto europee: Ward arriva a scommettere con John Cooper, patron del team di Brabham, che la sua Midget, benchè un po’ più lenta in rettilineo, surclasserà le sue vetture in curva. Nel primo giro delle prime prove, Ward viene smentito: la sua vettura arriva alla prima curva insieme alle Cooper di Brabham e del giovane McLaren; mentre questi ultimi affrontano la piega a sinistra con la solita, ottima velocità, la Midget di Ward sembra ferma al confronto. Poco dopo, ai box, il pilota americano andrà a stringere la mano a Cooper, ammettendo la superiorità delle monoposto del Vecchio Continente. La qualifica è dominata dalle stesse Cooper, con Moss in pole e il duo Brabham-Schell a seguire; Brooks è 4°, affiancato da Trintignant (Cooper) e Von Trips (Ferrari). C’è un giallo però. Schell viene piazzato 3° solo durante la notte poichè, a pochi istanti dalla fine delle qualifiche, si trovava 11° con un tempo di 3:11.2; invece taglia il traguardo con il tempo di 3:05.2, in 3° posizione e scatenando le proteste veementi della Ferrari e degli altri team. Cosa sia accaduto lo si viene a sapere solo dopo la gara: in pratica, poco dopo la terza curva del tracciato (Tower Turn) e prima dell’MG Bridge, il pilota americano imbocca una via laterale apparentemente senza uscita; invece, Schell scopre che questa immette sul Warehouse Straight, bypassando oltre due chilometri di pista; non visto, Schell ne approfitta e si schiera in prima fila. Al via, Moss e Brabham mantengono le posizioni, mentre la gara è subito in salita per Brooks, addirittura 15° alla fine del primo giro, dopo un contatto con Von Trips che lo costringe ai box per controllare eventuali danni. La gara di Moss finisce già al 5° giro (trasmissione), con Brabham che prende la testa e vola verso il titolo. Seguono McLaren e il terzo ferrarista, Cliff Allison. Quasi in contemporanea, finisce ko anche il “furbo” Schell (frizione). All’ultimo giro ecco il colpo di scena: mentre si trova saldamente al comando, la T51 di Brabham comincia a boccheggiare, con il carburante in esaurimento; l’australiano viene passato da McLaren, Trintignant e Brooks, tagliando il traguardo in 4° posizione, spingendo a mano la sua Cooper. Poco male, perché ciò basta e avanza a consegnargli il primo Titolo della carriera. Festeggia anche Bruce McLaren: il neozelandese vince per la prima volta, facendo segnare il record di precocità, in 22 anni e 104 giorni.
F1 GP USA 1959: gli highlights della gara
Nel 1960 ci si sposta in California, a Riverside, circuito di 5.271 m, oggi non più esistente. L’evento vede la mancanza della Ferrari, visto che il Drake preferisce far concentrare la squadra sulla vettura del ’61; inoltre, si registra la presenza di appena 25.000 spettatori (comunque estasiati dallo spettacolo delle F1), anche a causa del fatto che i principali media locali, per contrasti con l’organizzazione, hanno ignorato la gara. Con il Mondiale già assegnato a Brabham, è ancora Moss (Lotus) a partire davanti a tutti, seguito da Brabham (Cooper) e dall’idolo locale Gurney (BRM). Al via, Brabham brucia Moss ed esce dalla prima curva al comando. Nel corso del 4° giro, Surtees (Lotus) si gira davanti al compagno Clark, che non può evitarlo. Per ovviare ai problemi di consumo avuti un anno prima, Brabham ha fatto montare dei serbatoi maggiorati sulla sua Cooper; questi, però, traboccano e la benzina finisce sugli scarichi incandescenti, provocando delle fiammate al posteriore; allarmato da ciò, Jack è costretto a due lunghe soste ai box, che lo fanno finire nuovamente 4°. La vittoria va a Moss, che comanda la situazione senza problemi nei successivi 70 giri; sul podio con lui Innes Ireland (Lotus) e Bruce McLaren, che sfruttano i problemi ad una valvola di Bonnier (BRM), 2° fino a 16 giri dalla fine.
Il 1961 è un anno importante per il movimento a stelle e strisce. C’è l’esordio di quella che per molti anni sarà la casa del GP degli Stati Uniti, ovvero Watkins Glen, all’epoca nella prima versione da 3.780 m, veloci e con variazioni altimetriche accentuate. In più, Phil Hill è il primo americano a laurearsi Campione del Mondo, alla guida della Ferrari 156, nota come “Shark Nose”. Hill, però, non può festeggiare il titolo con i suoi tifosi, poiché la Ferrari, ancora una volta, non prende parte alla gara: la motivazione, stavolta, è il lutto seguito alla tragedia di Monza di un mese prima, nella quale hanno perso la vita von Trips e 15 spettatori. Sono ancora Moss e Brabham ad ergersi a protagonisti, anche se in griglia, tra i due, s’infila Graham Hill (BRM). L’australiano parte bene, ma Moss si prende la vetta già nel corso della prima tornata; il primo inseguitore del duo di testa è Ireland, passato da 8° a 3°. All’inizio del 3° passaggio, Ireland si gira su una macchia d’olio in pieno rettilineo, ripartendo 11°; virtualmente sul podio sale McLaren. Davanti, Moss e Brabham se le danno di santa ragione, passandosi a vicenda più volte. Intorno al 34° giro, Brabham inizia ad avere problemi di surriscaldamento, che lo portano al ritiro dopo un’inutile sosta ai box (giro 57); Moss sembra involato verso una comoda vittoria, ma deve fermarsi per un calo della pressione dell’olio (giro 58). In testa, così, si ritrova Ireland, autore di una gran rimonta; il nativo di Mytholmroyd centra la sua unica vittoria in carriera. Sul podio anche il pilota di casa Dan Gurney (Porsche) e Tony Brooks (BRM), che beneficiano del ritiro di Salvadori (Cooper) a 4 giri dalla fine (motore). Il 1962 vede il dominio di Jim Clark, a bordo della Lotus 25, mentre la Ferrari, per il terzo anno di fila, diserta l’evento. Lo scozzese ottiene la pole, precedendo le BRM di Ginther e Hill, inframmezzate dalla Porsche di Gurney. La domenica il cielo è coperto e minaccia pioggia; spira anche un vento forte e freddo. Clark, come dirà subito dopo la fine della gara, decide di passare ad un assetto da asciutto poco prima del via, avendo ragione. Il pilota della Lotus scatta bene, seguito dal rivale Hill. I due staccano subito il resto del gruppo, con Graham che, sfruttando dei doppiaggi, passa in testa al giro 12; Clark non ci sta e, dopo aver fatto segnare un giro record migliore del suo tempo della pole, si riprende la vetta al giro 19. A questo punto, tenendo un ritmo formidabile, che lo porta ad abbassare più volte il record sul giro, Clark acquisisce un buon margine su Hill e va a vincere la gara. Lui ed il pilota della BRM sono gli unici al traguardo a pieni giri; anche Bruce McLaren, 3°, si prende una tornata di distacco.
Nell’edizione 1963, Graham Hill inaugura un trittico di successi al Glen. La sesta volta del GP degli Stati Uniti vede la prima presenza della Ferrari dopo tre anni. In prova, un po’ a sorpresa è Graham Hill (BRM) a centrare la pole, davanti a Clark e a Surtees (Ferrari). Sono ben 7 i piloti di casa in griglia, un record: in ordine di partenza, Ginther (BRM), Gurney (Brabham), Gregory (Lola), Phil Hill (A-T-S), Hall (Lotus), Sharp (Lotus) e Ward (Lotus). Anche gli spettatori presenti la domenica fanno segnare il record (60.000). Al momento dello start, Clark rimane fermo sullo schieramento, a causa della batteria scarica; i meccanici la sostituiscono in fretta e furia, rimandando lo scozzese in pista con un giro di ritardo. Davanti, G. Hill comanda su Ginther e Surtees. Tra 5° e 7° giro, il ferrarista infila entrambe le BRM, passando in testa. Graham non vuole mollare e ripassa il connazionale prima al giro 31 quindi al giro 35; in entrambe le occasioni, però, Surtees risponde prontamente, con Hill che perciò preferisce restargli in scia. Intanto, Clark risale in 7° posizione, benchè con una monoposto non al meglio. Passata la metà gara, Surtees comincia a guadagnare terreno su Hill il quale, a sua volta, a causa di un problema alla barra antirollio, comincia a soffrire di un forte sottosterzo, perdendo ulteriormente terreno. La gara sembra segnata, ma all’82° passaggio il motore della Ferrari #23 si rompe, dando via libera a Hill. E’ doppietta per la BRM, poiché la piazza d’onore è appannaggio di Ginther. Clark completa la sua rimonta, arpionando un ottimo podio. Il gp del 1964 è fondamentale per la lotta al titolo. A due gare dalla fine, sono tre i piloti in lizza per l’iride: Graham Hill (32), Jim Clark (30) e John Surtees (28), ma reduce da due vittorie nelle tre gare precedenti. Le qualifiche sorridono a Clark, che fa segnare il miglior tempo, precedendo Surtees, Gurney (Brabham) e G. Hill. Al via, Clark viene scavalcato dal ferrarista e da un sorprendente Spence (Lotus), partito 6°; anche Hill, nel corso del primo giro, riesce a superare lo scozzese; Gurney, invece, si trova 7°. Nel corso della 5° tornata, Hill supera Spence; nel giro seguente, Clark uccella entrambi e si issa in 2° posizione. Jim è scatenato e, una volta ripreso Surtees, lo passa (giro 13). Mentre Gurney sale in 4° posizione, Hill si fa sempre più minaccioso alle spalle di Surtees. I due ingaggiano una lotta fantastica per la 2° posizione, che diventa lotta per la leadership della gara quando, al giro 44, Clark è costretto ai box da un problema di iniezione della benzina. Chapman decide di fermare Spence e di consegnare la sua Lotus allo scozzese, nella speranza di limitare i danni; Spence, invece, riprende la pista con la vettura di Clark, ritirandosi al giro 57. Davanti, il duello tra Graham e John vede vincitore il pilota della BRM. La gara è davvero avvincente. Hill ha problemi alla macchina, venendo avvicinato ancora da Surtees, il quale, però, deve guardarsi le spalle da un aggressivo Gurney. Il pilota della Brabham ingaggia un duello con il ferrarista, alzando bandiera bianca al giro 70 per il cedimento del motore. Prodigioso, intanto, quanto messo in mostra da Clark: girando oltre un secondo al giro più rapido rispetto ai primi, Jim, benchè doppiato, risale in 3° posizione; purtroppo per lui, anche la Lotus di Spence si ferma (pompa della benzina, giro 102). Sotto la bandiera scacchi festeggia Hill, che precede Surtees e l’elvetico Siffert (Brabham). Il titolo, però, andrà a Surtees (nel racconto della storia del GP del Messico vi racconterò com’è andata a finire).
Il GP del 1965 vive sul duello tra Clark, dominatore della stagione e vincitore anche della 500 Miglia di Indianapolis, e Graham Hill, a segno nelle ultime due edizioni. Il pilota della BRM fa segnare la pole position; Clark è a un decimo, seguito da Ginther (Honda), Spence (Lotus), Bandini (Ferrari) ed un giovane Jackie Stewart (BRM). La domenica mattina piove, ma il forte vento asciuga la pista in tempo per la partenza. Hill mantiene la vetta, seguito da Clark, mentre 3° è Stewart che, con Bandini, supera Spence. Già nel secondo giro, però, Clark si porta al comando. Stewart è costretto ai box alla fine del 3° passaggio, per un problema ad una sospensione: dopo il via, nel tratto delle Esses, in un ruota a ruota con Ginther, Jackie aveva centrato un cordolo posto all’interno; al giro 12, lo scozzese deve ritirarsi. La leadership di Clark dura solo tre giri ma, una volta ripassato da Hill, resta alle calcagna del rivale; improvvisamente, all’inizio del giro 12, il pilota della Lotus deve fermarsi, a causa di un pistone rotto. Graham, così, s’invola indisturbato; al giro 24 ha circa 30 secondi sul primo inseguitore, Gurney. Intorno al giro 37 comincia a piovere, rendendo la pista molto scivolosa. Rischia tantissimo il leader, che arriva lungo alla prima curva, finisce nell’erba e per poco non va a sbattere, riuscendo dunque a rientrare in pista. In queste condizioni, le Dunlop di Hill girano circa due secondi al giro più lente rispetto alle Goodyear montate dalle Brabham che lo inseguono. All’incirca a metà gara, le due BT11 sono ormai negli scarichi della P261 di Hill. Gurney, però, si fa prendere dalla foga ed esagera, lasciando la 2° posizione al suo capitano, Jack Brabham. Adesso è il suo turno di attaccare la prima posizione: i due escono appaiati dall’ultima curva, continuando per tutto il rettilineo dei box; quindi Hill accompagna furbamente il rivale fuori pista alla prima staccata; Brabham compie un 360° nell’erba bagnata e riparte 3° (giro 53). Gurney sembra in grado di poter ritornare all’attacco, ma un problema alla frizione lo induce a più miti consigli. Nel finale la pista si asciuga e Hill conduce in porto la 10° vittoria in carriera; Gurney e Brabham completano il podio.
Appuntamento ai prossimi giorni con gli altri capitoli della storia del GP degli USA. Non mancate.
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