Tragedia Salom: riflessioni sulla tragica scomparsa del pilota spagnolo nel Gran Premio di Catalogna
Il settimo appuntamento del Motomondiale 2016 si è aperto nel peggiore dei modi. Sul tracciato di Barcellona, durante le prove libere del venerdì, Luis Salom ha perso la vita a seguito di una caduta all’ingresso della curva 12. Una classica scivolata, con l’avantreno che tradisce il centauro iberico, che si trasforma in tragedia a causa di una sfortunata dinamica: moto e pilota prendono la stessa traiettoria, la via di fuga in asfalto fa il resto.
Dopo cinque anni il Motomondiale torna a piangere uno dei suoi eroi: nel GP di Malesia 2011 era morto Marco Simoncelli. Lì la dinamica dell’incidente era stata diversa, col pilota investito da chi lo seguiva, proprio come accaduto a Tomizawa l’anno precedente a Misano. In gara incidenti del genere non possono essere evitati. Su quello accaduto a Salom, invece, c’è chi non riesce a darsi pace: con tutto quello che è stato fatto per la sicurezza è inammissibile che al giorno d’oggi si possa morire perché “ti parte l’anteriore”, aveva giustamente sentenziato un Mauro Sanchini in lacrime oggi pomeriggio su Sky Sport MotoGP, coi suoi colleghi che concordavano. Sono d’accordo anch’io che non si debba morire per incidenti del genere, ma sono anche conscio che per la sicurezza negli ultimi anni non si sia fatto assolutamente niente, o meglio, che la strada imboccata non sia quella giusta.

Oggi, 3 giugno 2016, con la tragedia di Salom, è crollato il dogma delle vie di fuga in asfalto; per circa 15 anni in molti, tra esperti e rappresentanti di Safety Commission a 2 e 4 ruote, sono stati convinti dalla GPDA di F1 che le vie di fuga in asfalto anziché in ghiaia fossero più sicure. Così anche dalla curva 12 del Circuito di Catalogna negli ultimi anni è stata mano a mano tolta la ghiaia per far spazio all’asfalto: un passo avanti per la sicurezza nel motorsport si era detto. Oggi però la terribile caduta di Salom ci lascia quantomeno il beneficio del dubbio: ci fosse stata la ghiaia, il pilota molto probabilmente si sarebbe salvato, hanno sentenziato la maggioranza di esperti.
Chi non riconosce che anni fa, introducendo le vie di fuga in asfalto, si sia imboccata una strada sbagliata (e che oltretutto la si è percorsa per troppo tempo, rovinando praticamente tutti i circuiti mondiali) ha il paraocchi e si cela dietro alla comoda massima: “motorsport is dangerous” (il mondo dei motori è pericoloso). Una massima che a me personalmente, in questa occasione, dà solo il voltastomaco. A Montmelo prima vi era una via di fuga in ghiaia (che, solo a danno avvenuto, tutti reclamano), ora, nel nome della sicurezza sbandierata fino a ieri da qualcuno, c’è invece un nastro d’asfalto dove un ragazzo di 24 anni ha trovato la morte. Che questo mondo, già pericoloso di suo, sia stato reso ancor più pericoloso da chi per anni ha messo mano ai circuiti di tutto il mondo, nell’ingenuo intento di renderli più sicuri, ordinando dogmaticamente vie di fuga in asfalto in ogni curva, almeno per me, è francamente inaccettabile.
Appena saputa la dinamica, ho pensato a te e a quanto ripeti da anni, purtroppo al vento, sulle vie di fuga in asfalto. Come sempre ci deve scappare il morto per far aprire gli occhi a chi conta